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Calcio - Coppa del Mondo / Football - World Cup: le news

Tito Drogba

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uopaz - 13/07/10, 15:35

Scopro con stupore che i Mondiali sono finiti.
Mi stupisco meno del fatto che a vincerli sia stato Tito Drogba di andre77, solo due anni più vecchio (ma infinitamente più saggio) di landers79 e con una “L” e una “S” in meno che impediscono di completare l’anagramma.
Si fosse chiamato Sandrel sarebbe stato un clone anagrammato e invecchiato (in botti di rovere) e non avrebbe vinto.
Invece ha vinto, come la Spagna.
Come la Spagna partiva da favorito, anche se per un attimo non ha capito, si è sentito stranito, vedendo che l’avversario indossava la casacca di Milito.
Poi ha avuto paura, nella giornata di sabato, quando alla sera ha visto la Germania scendere in campo senza il suo bomber Klose. Suo di Tito Drogba, non della Germania.
Si è forse visto perduto, quando l’Uruguay è passato in vantaggio per due a uno e sicuramente avrà inveito, pur confidando in una vittoria spagnola con poco scarto e senza Iniesta che gli restituisse la fulgida Coppa fuggente.

Ma mettiamoci nei panni di mojito, mister di speriamo un bene (mica tanto).
Arriva alla finale più stremato dell’Olanda, senza cartucce base da sparare ma con una Spagna extra da tifare.
Veste il suo bomber con la maglia numero 6 delle Furie Rosse e quando il suo pupillo, dopo 116 minuti, mette l’orrenda sfera jabulosa alle spalle del portiere arancione (di rabbia e disperazione), pensa al +1 extra, pensa al +1 Iniesta e pensa che +1+1 fa +2 e che due è più alto di uno e che se lo divido per due fa uno e che uno è più alto di uno diviso due (che fa zero virgola cinque) e pensa che ha vinto, che ha vinto, che ha vinto!
Ha vinto da sfavorito, ha vinto con un colpo di cuore che neppure garkal nell’atletica, ha vinto all’ultimo respiro prima dei rigori, ha vinto perché il regolamento dice che… ha perso.
Ha perso.
Ha perso perché i tempi supplementari non esistono.
Ha perso perché il gol della Spagna non esiste.
Ha perso perché il gol di Iniesta non esiste.
Il gol della Spagna esiste per Casillas, che limona duro con l’intervistatrice fidanzata, esiste per Sneijder, che piange con i suoi occhioni lucidi (ma comunque limonerà duro con la fidanzata), esiste per Madrid in festa ed esiste per gli almanacchi.
Per tutti, tranne che per mojito.
Aveva catturato l’enorme pesce-Coppa ma, tornato a riva, si è trovato tra le mani solo lo scheletro senza gloria di un trofeo che non c’è (così impara a chiamarsi come il cocktail preferito di uno scrittore che, amando le corride, non poteva che tifare Spagna).
Un trofeo fantasma come il gol di Iniesta.

E così, nel portale del realismo sportivo, assistiamo al paradosso di un regolamento (comunque equo e motivato – che se non lo scrivo la bella sprugolina mi dà in pasto ad AntiTeam) che regala il trofeo più ambito dell’anno (dopo il Tour di Polonia, ovviamente) grazie ad una finzione scenica che ferma il tempo laddove il tempo sportivo non finisce e porta i fatti sportivi a smentire quelli fantasportivi in modo clamoroso e crudele per il perdente ed inaspettatamente generoso per il vincitore.
Tutto questo, naturalmente, non toglie meriti al campione del mondo andre77, ma aumenta il fascino del gioco, conferendogli quell’aurea di casualità che alcuni chiamano fortuna e altri MANKANA.

Onore quindi al campione e al secondo classificato.
Al vincitore e allo sconfitto, necessari per dar vita allo spettacolo e quindi ugualmente meritevoli di essere ricordati così come fosco e i suoi Haze76 (il nostro Uruguay).
Garkal e i suoi Mai più gli incastri (seee!!!) arriva (immeritatamente) terzo come la sua Germania, nella quale aveva creduto ciecamente.
Di garkal, per inciso, non è necessario tenere memoria.
Tutti gli altri, invece, non sono serviti a nulla se non ad arrivare a quest’ultimo atto.
Vittime sacrificali che la storia dimenticherà in fretta.

Ma forse no.
Perché negli occhi non resterà solo la (brutta) finale tra i blu e gli arancioni.
Non resterà solo l’orrendo colpo di kung fu di De Jong, l’eccesso di cattiveria olandese o l’inettitudine dell’arbitro inglese.
Resteranno le immagini dei gol di Forlan, la pessima figura della Francia e quella anche peggiore dell’Italia, la bellissima Germania di ottavi e quarti e la solidità del Brasile, inaspettatamente sciolta nell’acido arancione.
Resteranno le deludenti prestazioni dei fenomeni Rooney e Ronaldo, Messi senza gol, il sette a zero del Portogallo e le papere dei portieri.
Ricorderemo il rigore sbagliato da Asamoah Gyan a partita finita.
Ricorderemo le foto delle tifose dal sito della Gazzetta e il brillante gioco del Cile.
Ricorderemo il polpo Paul e il fatto che la Spagna ha perso all’esordio contro la Svizzera (giocando molto bene, tra l’altro) e ha rischiato di uscire al primo turno.
Sempre Italia e Francia, invece, ci sono brillantemente riuscite giocando malissimo.
Ricorderemo le geniali convocazioni di Maradona e di Lippi.
Ricorderemo che la Slovenia avrebbe potuto eliminare l’Inghilterra al primo turno (e forse sarebbe stato meglio).
Ricorderemo la funambolica Slovacchia, l’impenetrabile Nuova Zelanda e il brillante Paraguay.
Ricorderemo le vuvuzela, arbitraggi scadenti e palloni anche peggiori.
Ricorderemo partite belle e brutte, la scoperta di nuovi talenti e molte emozioni.
Di tutto questo si ricorderà chi ha visto e vissuto il Mondiale.
Per tutti gli altri rimarrà soltanto la vittoria della Spagna, iscritta su di un almanacco.
Ecco perché giochiamo a FS: perché ci aiuta a vivere lo sport (qualsiasi sport, tranne il Giro di Polonia) e ricordarlo attraverso le emozioni che evoca.
Affinché non sia soltanto la statistica di un gioco dove, parafrasando Lineker, giocano 200 persone e alla fine vincono garkal o Clash.

 

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