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Tennis - Circuito maschile ATP: le news

Jannik Sinner e l’Australian Open: la favola di un campione di ghiaccio

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sprugola - 28/01/25, 10:15

Sotto il cielo pallido di Melbourne, nel gennaio del 2025, si è consumata un’altra pagina di quella che un giorno chiameremo la leggenda di Jannik Sinner. Il ragazzo delle Dolomiti, con il volto serio e l’anima pacata, ha alzato al cielo il suo primo trofeo agli Australian Open, suggellando una finale che, per dramma e grazia, ricorda quelle di un’epoca che ci piace definire “altri tempi”.

Dall’altra parte della rete, un Alexander Zverev a cui mancava la corona, come quei principi delle fiabe a cui manca sempre qualcosa – il coraggio, il destino, o forse solo un pizzico di fortuna. Lo spettacolo, come spesso accade nel nostro amato tennis, non è stato solo nei colpi – per quanto straordinari fossero – ma nelle emozioni, nelle pieghe dei volti, nei gesti che raccontano più delle parole.

Jannik, nel suo completo bianco che sembrava fatto di neve, ha giocato con la precisione di un orologiaio e l’anima di un poeta. Nessun urlo dopo un vincente, nessuna protesta dopo un errore. Solo quel passo felpato verso la riga di fondo, quel rituale così antico eppure così moderno: sistemare le corde, sistemare la mente, sistemare il destino. E quando il match si è concluso con un 6-3, 7-6(4), 6-3, non c’è stato bisogno di celebrazioni eccessive. Sinner è un campione che non ha bisogno di gridarlo al mondo: basta guardarlo.

E poi c’era Zverev. Il tedesco, alto come una torre, ha visto la sua struttura crollare durante la premiazione. In un momento di umanità disarmante, Sasha ha lasciato andare le lacrime. Non quelle eroiche e contenute, ma quelle che sgorgano dai bambini quando sanno di aver fatto del loro meglio e non è bastato. Jannik, nella sua glaciale empatia, ha accarezzato l’aria tra loro, come a dirgli: "Va bene così, Sasha. Oggi era il mio giorno. Domani sarà il tuo."

Ma chi è davvero questo Jannik Sinner? È il figlioccio di un tennis che ricorda quello di Björn Borg, per la calma olimpica, e di Ivan Lendl, per la dedizione assoluta. Ma è anche un’icona nuova, che il nostro sport aveva bisogno di incontrare: un campione silenzioso, che parla attraverso i suoi colpi e non i suoi post su Instagram.

Non fraintendetemi: non voglio dire che Jannik non abbia emozioni. Anzi, le emozioni le tiene tutte dentro, come un vulcano sotto la neve. E quando esplodono, lo fanno in un rovescio lungolinea che sembra dipinto, o in un dritto in corsa che non lascia scampo.

Se Gianni Brera avrebbe definito Jannik un “eroe etrusco”, io mi permetto di immaginarlo come un moderno Caravaggio. Non tanto per le ombre (di cui, forse, Jannik neppure conosce l’esistenza), ma per la luce che riesce a portare in uno sport spesso troppo ossessionato dai numeri e dalle statistiche.

E così, l’Australian Open del 2025 si chiude con una morale che potrebbe essere uscita da una delle favole che si raccontano ai bambini: il lavoro duro, l’umiltà e il talento possono ancora vincere. Ma soprattutto, ci ricorda che i veri campioni, quelli che resteranno nei libri di storia, sono quelli che sanno vincere con classe e perdere con dignità.

Un applauso a Jannik Sinner, l’uomo che ha fatto piangere Zverev e sorridere tutti noi. E chissà, forse un giorno, quando sarà vecchio e grigio, Jannik guarderà indietro a questa serata e si renderà conto di aver scritto, senza volerlo, una delle più belle poesie del tennis moderno.

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Ho chiesto all'IA di scrivere un'articolo usando lo stile del grande Gianni Clerici e questo è stato il risultato.
Lo so, questa rivelazione rovina un po' tutta l'emozione che si prova nel leggere queste righe, e ringrazio quei pochi che ingenuamente hanno pensato che potesse essere merito mio.
Resta il fatto che a mio parere si tratta di un articolo davvero bello, altrimenti non lo avrei pubblicato.

Se accettiamo senza riserve gli effetti speciali nei film – quelle esplosioni mozzafiato, i mondi fantastici e le creature incredibili – perché non accettare con lo stesso entusiasmo articoli scritti dall'IA? Così come un regista usa il computer per ampliare l’immaginazione dello spettatore, un’IA può arricchire l’informazione con velocità, precisione e uno stile adattabile. Non rubano l'anima del giornalismo, la esaltano, lasciando ai giornalisti umani il compito di concentrarsi su inchieste e interpretazioni profonde. Dopotutto, non è la macchina a creare la magia: sono sempre le mani umane che la guidano.

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Nota. Ops. L'ho fatto di nuovo.
Anche quest'ultima parte è stata prodotta dall'IA.

PS. Un bravo giornalista avrebbe corretto la riga in cui si cita il completo bianco come la neve, visto che lo sappiamo bene che il completo Nike di Jannik era giallo. Ma ho lasciato questa imperfezione per ribadire la superiorità dell'uomo sulla macchina.

La chiudiamo qui perchè sta diventando un articolo in stile LMV, altro che Clerici.

Modificato da sprugola - 28/01/25, 11:33

 

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